La casa di Penelope

 

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Galliera Veneta, Villa Imperiale, sabato 24 settembre 2011, ore 17\19

Primo video: la battitura serrata sullo schermo del telaio metallico connette punti e linee. Le schede sono perforate, il movimento è numerato. La trama è antica.

Si rievoca il sapere reticolare femminile della tessitura, presupposto logico – fattuale di successive urbanistiche alla griglia, dalle Terramare padane del secondo millennio a.C., al reticolo di Ippodamo da Mileto del V sec. a.C., ai castra, le centuriazioni romane, alle streets and avenues coloniali.

La compiutezza della tela da sempre esige lo strappo.

La Penelope di Omero sa costruire e anche distruggere per difendere la propria casa, la città, mentre Ulisse viaggia (tra Nausica e Circe). Ma la sua casa resta assediata e intrappolata nella iterazione di un gesto che si produce per poi negarsi, abortivo.

Il taglio della nuova Penelope significa rompere la chiusura, aprirsi all’avventura, mettersi in viaggio.

Ci introduce al multilinguismo, a una pluralità di voci. Nel secondo video la bocca di Ulisse traduce l’impatto con le diverse realtà urbane. La rottura di una continuità si articola in mappe embrionali di città, sospese e quasi fluttuanti su un kakemono trasparente. Le piante sono traslate su un piano verticale dell’immaginario visivo, trasgressioni della linearità, tracce organiche, curve in divenire.

Non c’è viaggio senza mappa. Non c’è pianta senza parco. Nel parco della memoria e del futuro Fede ci guida anticipandoci, attraverso un “giardino dei sentieri che si biforcano”, dove il parco diventa città e la città diventa parco, in un vibrante connubio di Imperiale e Selvatico.

Sì, vibrazioni, azioni vibranti: l’ondeggiare dei movimenti del coro, i tocchi delle dita sui fili tesi tra le foglie. Strumenti pieni d’aria, arpe come aquiloni trasparenti.

Alberi affacciati alle acque, ai ponticelli, a un Pardes primigenio, diventano il supporto vivente di testimonianze extracomunitarie sofferte, di disagi al limite, ai confini, dal Marocco all’Albania, storie di mare nostrum. Dialoghi, interviste, registrazioni, omessi dalla scena, ne sono fondamento costitutivo. Suonano tronchetti, sorprese nell’andare, apparizioni dietro le curve dei rami, anziché dietro l’angolo.

Non c’è acqua senza monte. Non c’è vita senza fonte. Angelica, una mus(ic)a in bianco, sonora sirena, ci attira oltre il ponte. I diversi sfilano, uniti dalle differenze, verso il genius loci dell’identità, sulla cima del colle che è luogo comune.

Anima”: quattro nastri di lamiera zincata e acrilico segnano la terra, traducendo in prospetto scultoreo i solchi centrali del polpastrello del dito. Curve lastre identitarie si raccolgono a disegnare un nido gigante, “angolo” di meditazione.

Si architetta l’origine di un labirinto, l’anima di una casa, una città a misura digitale?

Ci si anima.

Questa digitalità animata ci guida verso una casa, una città organica, antropometrica, antropologica, dove l’identità sia il trampolino di lancio fondato sulla resistenza delle differenze.

Unicità che segnano un cambiamento all’interno del tessuto sociale” scrive FTF.

L’artista non può ritirarsi nella casa di un’identità solitaria. La città, il territorio è il suo habitat.

Di chi è il dito? Chiedo a Federica. È il tuo, mi risponde.

Impronta come pressione forzata di un dito inchiostrato è memoria di violenza.

Fede ci proietta in un presente-futuro vibrante di identità artistica diffusa.

La casa è la città, la città è la casa.

Sonoro di pietre sospese su corde. FTF articola a terra, dentro limena data, una struttura fatta di semplici canne e tegole, (schema astronomico, biologico, filosofico, sociale,…) a partire da un centro vuoto. Da una ciotola originaria comune Fede ci invita ad attingere l’inchiostro… della difesa della vita.

Nero di seppia, appunto.

E la vita si fa scrittura, singolare, personalizzata, senza privatizzare il pennello, che passa tra i presenti come un testimone, come si porge una spada, chinando il capo e il busto nell’umile gesto dell’offerta.

L’artista diventa pienamente se stessa nel momento in cui si è (dif)fusa nell’Altro, negli Altri, certo regista, anche levatrice.

Artista e Maestra per i partecipi, a un tempo studenti e attori di un proprio sé da lei attivato, come oro nero estratto.

Grazie Federica

flo

 
 
 
 
 

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